Spesso mi viene posta questa domanda: “qual è la differenza tra temperamento, carattere e personalità?”

E ancora: “Il carattere è ereditario o dipende dall’ambiente in cui si cresce?”

Cercherò di fare sinteticamente un po’ di chiarezza.

Ogni persona ha sin dalla nascita un fondamento biologico: il patrimonio organico innato che ciascuno riceve attraverso la trasmissione ereditaria (costituzione ereditaria), da cui derivano le forme e proporzioni del corpo (costituzione morfologica) e le modalità di funzioni vitali (circolatoria, respiratoria, digestiva, ecc.) dipendenti dal sistema nervoso e endocrino (costituzione fisiologica).

Il complesso di questi elementi determina una iniziale struttura psichica o temperamento.

Perché “iniziale”? Perché al condizionamento dei fattori ereditari si deve aggiungere quello dovuto ai fattori ambientali, che interessa tutta la vita del soggetto. La personalità è frutto di questi condizionamenti e della reazione a questi condizionamenti.

Con la parola temperamento s’intende la risposta psichica naturale al corredo organico ereditario: essa esprime impulsi, tendenze istintive, disposizioni, necessità, stati affettivi…

Il carattere invece è frutto dell’iniziativa del soggetto sotto l’influsso dell’ambiente. Nel bambino il carattere non si distingue ancora dal temperamento, la decisione non si distingue dall’impulso, i processi di inibizione sono poco sviluppati, gli schemi mentali sono troppo semplici, ecc.

La personalità invece, non solo unifica gli aspetti biologici del temperamento e quelli psichici del carattere, influenzati dall’ambiente; ma crea anche valori, modelli di comportamento, forme di organizzazione sociale in grado di modificare l’ambiente e la stessa personalità. Lo sviluppo della personalità comporta l’interazione tra fattori costituzionali innati, fattori educativi, ambientali e culturali.

L’intelligenza emotiva può essere definita come la capacità di identificare, comprendere e gestire in modo consapevole le emozioni proprie e altrui.

Alcuni scienziati si sono chiesti se essere emotivamente intelligenti sia una cosa positiva o negativa.

Logicamente si è portati a credere che più intelligenza emotiva si possiede e maggiori benefici se ne possono trarre.

Tuttavia sembra che non sia esattamente così.

Uno studio suggerisce che l’abilità di vedere ed ascoltare le emozioni degli altri, a volte può provocare una dose di stress in più. Questa ed altre ricerche sfidano l’opinione predominante per cui l’intelligenza emotiva è un vantaggio per chi la possiede.
Una ricerca della Frankfurt School of Finance & Management Germania ha misurato l’intelligenza emotiva di 166 studenti universitari attraverso due esercizi: nel primo sono state mostrate delle fotografie di volti di persone e si è chiesto quanto secondo loro quelle facce esprimevano sentimenti di allegria o disgusto.
Il secondo esercizio consisteva nel parlare del proprio lavoro davanti a dei giudici che mostravano espressioni facciali severe. I ricercatori hanno misurato la concentrazione di cortisolo (l’ormone dello stress) nella saliva degli studenti prima e dopo questo esperimento e hanno scoperto che gli studenti classificati come più intelligenti emotivamente, hanno mostrato un maggior livello di stress durante l’esperimento e hanno avuto bisogno di più tempo per tornare alla normalità.

È importante però chiarire una cosa: lo studio tedesco è stato realizzato solo su persone di sesso maschile. È necessario approfondire l’argomento per valutare con precisione qual è la relazione tra intelligenza emotiva e stress nelle donne e persone di età differenti e livelli di educazione.
http://bit.ly/2mybBWk)

Questo studio rafforza una ricerca antecedente della University of Wollongongin in Australia, dove si è concluso che le persone emotivamente percettive potevano essere particolarmente suscettibili ai sentimenti di depressione e scarsa speranza. (http://bit.ly/2mOx531)

Ma non finisce qui. Un altro studio della Kyoto University ha indicato che l’intelligenza emotiva può essere usata per manipolare gli altri per ottenere dei benefici personali. (http://bit.ly/2myg0bX)

In conclusione, l’intelligenza emotiva è un’abilità molto utile da sviluppare, in modo tale da poter  far fronte adeguatamente alle emozioni, tanto le proprie come quelle degli altri.

Per molto tempo, nell’ambito delle ricerche in psicologia economica si è creduto che la nostra maniera di reagire di fronte a certi fatti ed esperienze, corrisponde a quanto queste sono oggettivamente positive o negative per noi.
Che cosa si intende per “oggettivamente” positivo? In questo caso ci si riferisce ad un risultato che ci fa guadagnare in sicurezza, riconoscimento sociale e probabilità di ricevere stimoli piacevoli, arrivando a compensare gli sforzi, le risorse e il tempo impiegato nell’ottenere quel risultato. In altre parole, il risultato positivo si svincola da una logica economicista e razionale, quello che ci motiva è direttamente proporzionale alla quantità del valore che attribuiamo alle risorse che otteniamo.

Applicando il senso comune alle Olimpiadi

Una medaglia d’oro ci farà sempre reagire in modo più positivo rispetto ad una medaglia d’argento, perché il suo valore oggettivo è maggiore: di fatto, la sua unica utilità è quella di essere un oggetto di valore maggiore rispetto agli altri trofei. Tutti gli sportivi credono che una medaglia d’oro è migliore di una d’argento o di bronzo, si pensa logicamente che il grado di felicità e di euforia che sperimentano nel vincere le prime due, sia maggiore di quello che provano vincendo il bronzo.
Questo presupposto, tuttavia, è stato messo in discussione molte volte negli ultimi decenni, dopo che varie ricerche hanno mostrato che non sempre si reagisce in modo razionale quando dobbiamo dare un valore ai nostri traguardi o ai risultati delle nostre decisioni, anche quando queste non sono ancora state prese e si sta prevedendo quello che può succedere se si sceglie una opzione piuttosto che un’altra.

Nel 1995, alla Olimpiadi di Barcellona è stata condotta una ricerca pubblicata in “Journal of personality and social psychology”, basata sulle espressioni facciali degli atleti dopo la vittoria, .

In questa ricerca si volevano paragonare le reazioni dei vincitori di una medaglia d’argento con quelle dei vincitori di un bronzo per definire in che misura il grado di rabbia o di gioia corrispondeva al valore oggettivo del trofeo.

Per realizzare lo studio si è partiti dal presupposto che “gli occhi sono lo specchio dell’anima”: si sono prese come punto di riferimento le espressioni facciali dei vincitori.

Un gruppo di studenti doveva decidere in maniera approssimativa qual era secondo loro lo stato emotivo della persona, senza sapere quale medaglia avessero vinto realmente.

È chiaro che c’è sempre la possibilità che una persona menta, però lo sforzo e la dedizione degli sportivi di alto livello fanno in modo che sia poco probabile: la tensione e la carica emotiva associata a questo tipo di competizione sono così alte che l’autocontrollo diretto a regolare l’espressione facciale, diventi più debole. Pertanto, le loro espressioni e gesti dovrebbero essere relativamente affidabili.

Gli studenti hanno assegnato un punteggio su una scala da 1 a 10 alle reazioni degli sportivi subito dopo aver saputo della vittoria e durante la cerimonia di premiazione. Dando punteggi più bassi agli atleti che apparivano più delusi o non soddisfatti e punteggi maggiori a chi esprimeva più gioia.

Argento o bronzo?

I risultati ottenuti dai ricercatori sono stati sorprendenti. Contro quello che direbbe il senso comune, gli atleti che hanno vinto una medaglia d’argento non si mostravano più contenti di quelli che avevano ottenuto il bronzo. Di fatto, accadeva esattamente il contrario.

Partendo dalle immagini registrate subito dopo aver saputo i risultati, gli sportivi vincitori della medaglia d’argento hanno ottenuto un punteggio medio di 4,8 su 10, mentre il gruppo che ha vinto un bronzo ha avuto una media di 7,1. A punteggio più alto corrisponde maggiore gioia espressa. Lo stesso risultato è stato ottenuto anche con i punteggi realizzati sulle immagine della cerimonia di premiazione. I punteggi sono stati di 4,3 per i medagliati d’argento e 5,7 per quelli di bronzo. Continuava ad apparire più felice chi aveva vinto la medaglia di bronzo.

Che cosa era successo? Possibili ipotesi di questo fenomeno

La possibile spiegazione di questo fenomeno è data dal fatto che l’essere umano non valuta oggettivamente i suoi traguardi, ma ha a che fare con i paragoni e le aspettative del contesto di riferimento. Gli sportivi che hanno vinto la medaglia d’argento alle olimpiadi avevano mancato la medaglia d’oro mentre quelli che avevano ricevuto il bronzo avevano rischiato di non vincere nulla.  Se si innesca questo di tipo di pensiero “se avessi” si possono originare distorsioni della realtà che se prese in modo ossessivo causano sensi di colpa, sconfitta e vergogna. La reazione di tipo emotivo, pertanto, ha molto a che fare con l’alternativa immaginata: i medagliati d’argento possono arrivare a torturarsi pensando a che cosa sarebbe potuto succedere se si fossero sforzati un po’ di più o se avessero preso un’altra decisione, mentre quelli che vincono una medaglia di bronzo pensano all’alternativa peggiore di non vincere nulla, dato che questo è lo scenario più vicino alla loro situazione reale e con maggiori implicazioni emotive.

https://psicologiaymente.net/psicologia/medallistas-bronce-mas-felices-plata#!

Si ha uno spasmo ipnico quando si ha la sensazione di cadere mentre dormiamo.

Più del 70 percento della popolazione ha vissuto almeno una volta quello che si vede nella gif.

Questo atto riflesso si chiama mioclono (mio “muscolo” e klónos, “scossa”) del sonno o spasmo ipnico.

Di che si tratta? Gli spasmi mioclonici notturni sono movimenti bruschi, brevi e involontari che si producono nella fase iniziale del sonno, cioè nel momento esatto in cui passiamo dalla veglia al sonno. E’ un fenomeno normalissimo che capita alla maggior parte delle persone soprattutto in periodi di stress oppure quando si ha una cattiva qualità del sonno. (http://bit.ly/1M7zaxb)

Anche il singhiozzo, causato dalla contrazione del diaframma è un tipo di spasmo mioclonico, sono spasmi benigni che si verificano in persone con un buono stato di salute.

Dal punto di vista fisiologico accade che la frequenza della respirazione cala notevolmente mentre ci addormentiamo, questo viene interpretato dal cervello come un segnale di pericolo che ci procura un risveglio improvviso. Durante la prima fase del sonno, il cervello invia ai muscoli un segnale di rilassamento, se questo segnale viene frainteso procura degli spasmi che danno la tipica sensazione di precipitare.

In campo scientifico non c’è accordo sull’origine di questi movimenti. Alcune teorie indicano che mentre dormiamo, il cervello interpreta erroneamente il rilassamento dei muscoli con la sensazione di cedere, di conseguenza invia ai muscoli dei segnali di attività e movimento che ci fanno svegliare.

Ma cos’è che ci fa spaventare? La risposta può stare nel fatto che, per migliaia di anni, i nostri antenati primati dormivano sugli alberi e questo riflesso li proteggeva dalle cadute accidentali mentre dormivano: cadendo avrebbero potuto ferirsi o essere sentiti dai predatori. Sicuramente con un risveglio improvviso si salvavano da una morte sicura. (http://bit.ly/1M7zex5)