Secondo lei una maggiore accessibilità alla tecnologia e quindi una risposta più veloce alle nostre richieste potrebbe disabituare le persone al rifiuto e alla frustrazione?
Secondo me il problema non è centrato sull’uso che si fa di internet e della tecnologia, ma del perché sentiamo il bisogno di utilizzarlo in modo così continuativo e, appunto, veloce come se potesse fornire risposte ad ogni minima questione. Quindi va bene se serve per soddisfare piccole curiosità anche formative o di interesse personale, il problema nasce quando ci si affida troppo a internet sostituendo ad esempio un parere medico o tecnico di uno specialista con una informazione messa da uno sconosciuto su Wikipedia.
La dipendenza da cellulare, perché è così tanto utilizzato?
Non c’è una risposta universale che vada bene per tutti. Vorrei soffermarmi però sulla questione della noia. Spesso capita di rivolgere l’attenzione al cellulare quando siamo annoiati, ad esempio sull’autobus, quando siamo in fila alla posta o aspettando l’arrivo di una persona. Il tenere lo sguardo basso, fisso sullo schermo ci impedisce di entrare in comunicazione con gli altri, di scambiare uno sguardo di intesa, anche solo di guardarsi intorno. Tutti gli stimoli devono essere filtrato da uno schermo. Il cellulare ci mette in una posizione comoda che non crea ansia ma che al contrario la risolve, facendoci chiudere in un guscio protettivo.
A volte è un modo per sfuggire alla noia: quando ci annoiamo veniamo in contatto con l’angoscia, la tristezza e il senso di vuoto. Ed è proprio da questo senso di vuoto che si fa di tutto per scappare, per non ascoltare le richieste del nostro Io interiore.
Spesso per gestire i capricci di mio figlio lo calmo dandogli il telefono. È giusto?
Sicuramente è la risposta più semplice e immediata: confusione = cellulare = silenzio. Il risultato è che per strada o al ristorante incontriamo bambini imbambolati con lo sguardo fisso sullo schermo.
Il problema però non è il cellulare in senso stretto, ma il motivo per cui il genitore sente il bisogno di calmare il bambino con un oggetto che cattura completamente l’attenzione del piccolo lasciando entrambi in una posizione di passività in cui non c’è n’è scambio e né interazione.
Il piccolo viene lasciato solo a gestire uno strumento potenzialmente pericoloso.
La domanda sarebbe: come mai il genitore non riesce più a gestire il capriccio del bambino?
Il problema non riguarda il caso singolo ma la società in generale, nell’ottica del dare continuamente senza ricevere e senza chiedere nulla in cambio, non come un premio ma come una soluzione veloce, economica e sbrigativa. Il dare in modo assoluto e senza mediazione può portare ad una scarsa tolleranza alla frustrazione e al rifiuto, innescando un circolo vizioso in cui se non si ottiene immediatamente quello che si chiede scoppia il capriccio. Come uscire allora da questa situazione? Con la pazienza e soprattutto con la relazione. Solo interagendo con il bambino, giocando con lui, insegnandogli il rispetto delle regole e i no, si può creare una relazione capace di contenere il capriccio e l’insofferenza. .. ma questo presuppone, buona volontà e tempo.
C’è un modo per difendersi dal cyber bullismo?
Vorrei prima fare una distinzione tra bullismo e cyber bullismo. La differenza principale sta nell’uso del corpo: nel primo caso c’è una vessazione fisica con una predominante corporea, nel caso del cyber bullismo, invece il corpo è nascosto dello schermo ed è più subdolo da riconoscere e affrontare. Anche gli effetti che i due tipi di bullismo possono causare sono molto differenti: nel primo caso si verifica in un contesto circoscritto all’interno della classe o del gruppo di pari; nel secondo caso invece può avere una portata enorme, diffondendosi velocemente e in modo inarrestabile. In alcuni casi di cronaca addirittura il cyber bullismo ha portato al suicidio.
Spesso non ci si rende conto di quanto possa essere distruttivo, tutto avviene nell’ottica dello scherzo e del gioco, sottovalutandone gli effetti e l’enorme diffusione che internet permette di raggiungere.
Proteggersi è molto difficile perché si può essere filmati senza accorgersene e basta una condivisione a scatenare un effetto inarrestabile.
Quello che ci può aiutare è l’empatia: riconoscere e condividere le emozioni. Se mettendomi al posto dell’altra persona, capisco che facendo questa cosa posso far del male a qualcuno, allora forse prima di agire ci penso due volte e magari non lo faccio o dico ad altri di non farlo. Per accrescere l’empatia serve comunque un’educazione al rispetto che parte fin da bambini.
Perché il genere horror ci attrae così tanto?
Non sono una specialista del genere horror, ma credo che ognuno di noi abbia una parte di luce e una parte di ombra. La parte di ombra è quella che ci fa più paura di noi stessi e il fatto di poterla vedere rappresentata in uno schermo ci da la sensazione di poterla controllare.
Ma non tutti ci riescono e sono in grado di prendere le distanze dalla finzione cinematografica, la questione si complica quando nonostante il forte senso di angoscia che alcuni film ci provocano, noi continuiamo a guardarli facendoci letteralmente del male.